Laboratorio I, p. 242-243, n. 29 Dum Caesar in Citeriore Gallia cum legionibus in Hibernis est, e crebis rumoribus Labienique litteris cognovit omnes Belgas contra populum Romanum coniurare obsidesque inter se dare. Coniurationis istius variae erant casuae: Belgae partim Romanorum opes valde timebant, partim, mobilitate et levitate animi, novis imperiis studebant, partim etiam Romanum exercitum in gallia hiemare atque inveterascere nolebant (da nolo). His nuntiis litterisque commotus, statim Caesar duas (due) legiones novas conscripsit et in interiorem (più interna) galliam cum Q. Pedio legato venit, ibi Senones ei nuntiaverunt a Belgis manus cogi exercitumque ingentemin unum locum conduci. Tum vero sine ulla mora Caesar, re frumentaria comparata, castra movet diebusque circiter quindecim ad fines Belgarum pervenit. Postquam eo pervenerant, Remi, Belgis proximi, ad eum legatos primos civitatis miserunt, qui dicerent (affinché dicessero) se suaque omnia in fidem atque in potestatem populi Romani permittere, neque se cum Belgis reliquis consensisse neque contra populum Romanum coniurasse, paratosque esse et obsides dare et imperata facere et frumento ceterisque rebus iuvare. Illi confirmabant tamen omnes Belgas in armis esse, Germanosque sese cum his coniunxisse, magnumque esse eorum omnium in Romanos furorem. Mentre Cesare era nella Gallia Citeriore con le legioni nei quartieri invernali, conobbe da voci insistenti e dalle lettere di Labieno che tutti i Belgi congiuravano contro il popolo romano e che i nemici si davano tra loro. Varie erano le cause di questa congiura: i belgi temevano fortemente l'opera dei romani, in parte gli animi per mobilità e leggerezza, aspiravano a nuovi imperi e in parte anche non volevano che l'esercito romano svernasse e (cerca invaterascere) in Gallia. Mosso da queste lettere e annunci, subito Cesare arruolò due nuove legioni e venne con il luogotenente Pedio nella Gallia interna, qui i Senoni gli annunciarono che era stato spinto dalla mano belga e che un grande esercito era stato condotto in un luogo. Allora in vero senza indugio Cesaee, preparati i viveri, mosse l'accampamento e in circa 15 giorni giunse ai confini dei belgi. Dopo che giunse qui, i Remi, vicini ai belgi, mandarono a quello i primi ambasciatori della città affinchè dicessero che loro e tutte le loro cose erano nella fiducia e nel potere del popolo romano, e che non (consensisse) con gli altri belgi e che non avrebbero congiurato contro il popolo romano, e che erano pronti sia a dare ostaggi che a fare tutte le cose ordinate e di aiutare con frumento e altre cose. Quelli confermarono che tutti i belgi erano in armi che che anche i germani avevano con quelli congiurato, e che era grande contro i romani il furore di tutti loro.
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R. Alosi, Sistema Latino, p. 111, n. 36 Postquam Roma a Romulo condita est , in novo oppido feminae non erant. Tum Romulus ad vicinos populos misit legatos qui amicitiam conubiaque petiverunt. Sed legati nusquam benigne sunt auditi, quia romani spernebantur aut metuebantur. Sed Romulus consilium suum dissimulavit: ludos magnificos paravit et finitimos populos ad spectaculum invitavit. Sabini quoque invitati sunt, qui in oppido venerunt cum liberis atque uxoribus. Ludi commissi sunt: cum oculi atque animi Sabinorum spectaculo dediti erant, tum signum datum est. Extemplo romani accucurrerunt et Sabinas puellas rapuerunt. Ludi repuente turbati sunt; Sabini profugerunt, ac deos iratis verbis invocarunt: «Dideaque, a Romani hospitium violatum est: in eos vertite iram». Dopo che Roma fu fondata da Romolo, nella nuova città non c'erano donne. Allora Romolo mandò ambasciatori ai popoli vicini, che chiesero amicizia e matrimoni. Ma gli ambasciatori in nessun luogo furono ascoltati con benevolenza, poiché i Romani erano disprezzati o erano temuti. Ma Romolo dissimulò il suo piano: allestì magnifici giochi e invitò allo spettacolo i popoli confinanti. Furono invitati anche i Sabini, che vennero in città con figli e mogli. Furono messi in opera i giochi: quando gli occhi e le menti dei Sabini erano intenti allo spettacolo, allora fu dato il segnale. Improvvisamente i Romani accorsero e rapirono le ragazze sabine. I giochi furono sconvolti all'improvviso; i Sabini fuggirono, e invocarono gli dèi con irose parole : «Dèi e dèe, l'ospitalità è stata violata dai Romani: dirigete la (vostra) ira contro di loro». L. Griffa, So tradurre, p. 272, n. 263 Nunc mihi de Iuliano dicendum est, qui fuit imperator et philosophiae studiosissimus. Consensu militum, cum Illyriam invasurus esset ut barbarorum seditiones extingueret, Agustus est factus, cuius magis est laudanda virtus quam fortuna. Nam, cito ei bellum contra Partos, nomini Romano infestissimos, suscipiendum fuit. In hoc bello multa oppida et castella oppugnavit, sed, cum iam in patriam victor reversurus esset, dum inconsultius in proelium se inserit, hostili manu interfectus est anno septimo imperii sui. Fuit vir egregius, qui rem publicam insigniter moderaturus erat, sed fata adversa fuerunt. Fuit in amicos liberalis, in provinciales iustissimus, gloriae avidus, in liberalibus doctrinis eruditissimus. Non tamen tacendum est eum Christianae insectatorem fuisse, sed a cruore abstinuit. Cum vulneratus in tabernaculo iaceret et e vita decessurus esset,cum amicis de immortalitate animi disputavit. Adesso devo dire di Giuliano che fu imperatore e grande studioso di filosofia. Fu fatto Augusto col consenso dei soldati, quando stavano per invadere l’Illiria per soffocare la sedizione dei barbari, di cui bisogna lodare più la virtù che la fortuna. Infatti cito la guerra che doveva intraprendere contro i Parti, odiosissimi al nome romano, In questa guerra espugnò molti accampamenti e fortezze, ma quando era già in procinto di tornare in patria vincitore, mentre prese inconsultamente parte alla battaglia, fu ucciso da mano nemica nel settimo anno del suo regno. Fu uomo egregio, che stava per cambiare lo stato in maniera più insigne, ma i fati furono avversi. Fu liberale verso gli amici, giustissimo nei confronti dei provinciali, avido di gloria, eruditissimo nelle arti liberali. Allo stesso modo non bisogna tacere che egli fu un persecutore della religione cristiana, ma si astenne dal sangue. Mentre giaceva ferito nella tenda e stava per morire, cominciò a disputare dell’immortalità dell’animo con gli amici. L. Griffa, So tradurre, p. 78, n. 21 Athenis multi sapientes et docti viri vixerunt: multi Athenis nati erant, multi autem ex aliis regionibus Graeciae vel Asiae, ubi erant florentes coloniae Graecorum, venerant. Nam Athenae erant oppidum florens divitiis et bonarum artium studiis. Ex hac urbe in totam Graeciam quasi lux clarescebat, quia ibi ingens multitudo philosophorum, oratorum, poetarum, artificium vivebat. Artifices sagaci ingenio urbem splendidis aedificiis et templis ornaverant, inter quae Parthenon erat, in Acropoli positus et deae Athenae dicatus. Athenarum portus Piraeus fuit, unde veloces naves classis Atheniensium solvebant ad insulas Aegaei maris et ad urbes Asiae. Ex Graecia in Italiam venit Plato philosophus, auditur Socratis, et antea in Magna Graecia, deinde in Sicilia apud Dionysium tyrannum aetatem degit. Etiam militari laude Athenienses floruerunt: nam fere soli copias barbarorum profligaverunt et ingentem classem Persarum perdiderunt et hostes in Asiam ex Europa reppulerunt. Ad Atene vissero molti uomini sapienti e colti: molti erano nati ad Atene, molti invece erano venuti da altre regioni della Grecia o dell’Asia, dove erano fiorenti le colonie dei greci. Infatti Atene era una città fiorente per la ricchezza e gli studi delle belle arti. Da questa città la luce risplendeva in quasi tutta la Grecia, poiché lì viveva una grande moltitudine di filosofi, oratori, poeti e artisti. Gli artisti di grande ingegno ornarono la città di splendidi edifici e templi, tra cui vi era il Partenone, posto nell’Acropoli e dedicato alla dea Atena. Il porto di Atene fu il Pireo, dove le voloci navi della flotta ateniese salpavano verso le isole del Mar Egeo e delle città dell’Asia. Il filosofo Platone, allievo di Socrate, venne dalla Grecia in Italia; trascorse la sua vita prima in Magna Grecia e poi in Sicilia presso il tiranno Dionigi. Gli ateniesi si distinguevano anche per la gloria militare: infatti quasi da soli sconfissero le truppe dei barbari e annientarono la grande flotta dei Persiani e dall’Europa respinsero i nemici in Asia. Marcum Antonium quis est qui civem possit iudicare, potius quam taeterrimum et crudelissimum hostem qui pro aede Castoris sedens, audiente populo Romano, dixerit nisi victorem victurum esse (sarebbe sopravvissuto) neminem? Num putatis dixisse eum minacius quam facturum fuisse? Quod in contione dicere ausus est, se, cum magistratu abisset, ad urbem futurum cum exercitu, introiturum quotienscumque vellet, quid erat aliud, nisi denuntiare populo Romano servitutem? Cum eius promissis legiones fortissimae reclamassent, domum ad se venire iussit centuriones, quos bene sentire de re publica cognoverat, eosque ante pedes suos uxorisque suae, quam secum gravis imperator ad exercitum duxerat, iugulari coegit. Quo animo hunc futurum fuisse censetis in nos, quos oderat, cum in eos, quos numquam viderat, tam crudelis fuisset, et quam avidum in pecuniis locupletium, qui pauperum sanguinem concupisset? Quorum ipsorum bona, quantacumque erant, statim suis comitibus compotoribusque discripsit. Chi è colui che può giudicare ancora un cittadino (romano) Marco Antonio e non il più tremendo e crudele nemico colui che sedendo di fronte al tempio di Castore, con il popolo romano che ascoltava, disse che non sarebbe sopravvissuto nessuno se non il vincitore? Credete forse che ciò che disse fosse stata più una minaccia che un fatto che sarebbe poi successo veramente? Ciò che ebbe il coraggio di dire nell’assemblea, (e cioè che) una volta terminata la sua magistratura, sarebbe stato pronto ad entrare a Roma con l’esercito ogni volta che l’avesse voluto, cos’altro era se non il preannunciare la schiavitù per il popolo romano? Quando le fortissime legioni si opposero alla sua promessa, egli ordinò ai centurioni di andare a casa sua, a quelli che sapeva che erano di opinione favorevole alla repubblica (cioè a quelli che erano filorepubblicani), e li costrinse a tagliarsi la gola di fronte ai suoi piedi e a sua moglie, che aveva condotto con sé nell’esercito. Quale animo avrebbe avuto contro noi, che aveva odiato, se contro coloro che mai aveva visto fu tanto crudele? E quanto sarebbe stato avido delle ricchezze dei ricchi, colui che aveva bramato il sangue dei poveri? Poveri dei quali beni, per quanto insignificanti fossero, assegnò immediatamente ai suoi soci e compagni di bevuta. In omnibus rebus singulari fuit industria. Nam et agricola sollers et peritus iuris consultus et magnus imperator et probabilis orator et cupidissimus litterarum fuit. Quarum studium etsi senior arripuerat, tamen tantum progressum fecit, ut non facile reperiri possit neque de Graecis neque de Italicis rebus, quod ei fuerit incognitum. Ab adulescentia confecit orationes. Senex historias scribere instituit. Earum sunt libri VII. Primus continet res gestas regum populi Romani; secundus et tertius unde quaeque civitas orta sit Italica; ob quam rem omnes Origines videtur appellasse. In quarto autem bellum Poenicum est primum, in quinto secundum. Atque haec omnia capitulatim sunt dicta. Reliquaque bella pari modo persecutus est usque ad praeturam Servii Galbae, qui diripuit Lusitanos; atque horum bellorum duces non nominavit, sed sine nominibus res notavit. In eisdem exposuit quae in Italia Hispaniisque aut fierent aut viderentur admiranda. In quibus multa industria et diligentia comparent, nulla doctrina. Huius de vita et moribus plura in eo libro persecuti sumus, quem separatim de eo fecimus rogatu T. Pomponii Attici. Quare studiosos Catonis ad illud volumen delegamus. Egli fu di singolare operosità in tutte le cose. Infatti fu sia un abile agricoltore, sia un esperto nel diritto, sia un grande comandante, sia un gradevole oratore, sia un grande amante degli studi letterari. E nonostante avesse intrapreso questi studi piuttosto vecchio, fece tuttavia tali progressi al punto che era difficile trovare un episodio della storia greca o italica che gli fosse sconosciuto. Compose delle orazioni fin dalla giovinezza. Da vecchio si dedicò a scrivere opere di storia. Di queste vi sono sette libri. Il primo contiene le imprese dei re del popolo Romano; il secondo e il terzo da dove ha avuto origine ciascuna città italica: sembra che egli abbia chiamato tutti i libri Origini per questo motivo. Nel quarto libro, poi, si trova la prima guerra punica, nel quinto la seconda. E tutte queste cose sono narrate per sommi capi. Allo stesso modo continuò a raccontare le altre guerre fino alla pretura di Servio Galba, il quale saccheggiò i Lusitani; e non nominò i comandanti di tali guerre, ma registrò gli avvenimenti senza fare nomi. Negli stessi libri raccontò quegli episodi che in Italia e in Spagna erano o sembravano da ammirare. In questi libri traspaiono molto impegno ed attenzione e nessuna erudizione. A proposito della sua vita e dei suoi costumi ho esposto più cose in quel libro che ho composto su di lui su richiesta di T. Pomponio Attico. Per tale motivo rimando gli studiosi di Catone a quel volume. Sicilia, antiquitus etiam Trinacria appellata, pulchra Italiae insula est, amoenis oris latisque silvis nota. Siciliae terra fecunda est atque aristis, oleis uvisque plena; ideo Siciliam etiam "cellam penariam Romae" nominant quia valde opulenta est. In Sicilia innumerae et clarae Graiugenum coloniae sunt, notae incolarum frequentia, agricolarum industria, nautarum peritia, magna drachmum amphorumque copia; saepe igitur poetae insulam celebrant advenaeque visitant. Notae sunt praecique Syracusae, Gela, Segesta, Heraclea, Mylae, Catina et Messana. Apud Catinam Aetna est, Mylae autem notae sunt ob claram victoriam Romanarum copiarum. Super Siciliam Aeoliae insulae sunt. Aeolias autem etiam Liparas appellamus, quia praecipua insularum Lipara est. Sicilia innumeris deis et deabus (dee) cara est, sed praesertim Demetrae et Proserpinae, venustae Demetrae filiae. De Prosperina autem poetae claram fabulam narrant. La Sicilia, chiamata anche Trinacria nell’Antichità, è una splendida isola dell’Italia, nota per le piacevoli spiagge e i vasti boschi. La terra della Sicilia è fertile e piena di spieghe, ulivi e uva; perciò chiamano la Sicilia anche "dispensa di Roma" perché è molto ricca. In Sicilia ci sono innumerevoli e famose colonie dei Greci, conosciute per la moltitudine degli abitanti, l'operosità degli agricoltori, l'esperienza dei navigatori, la grande abbondanza di monete e di anfore. Spesso dunque i poeti celebravano l'isola e gli stranieri la visitano. Specialmente sono famose Siracusa, Gela, Segesta, Eraclea, Milazzo, Catania e Messina. Presso Catania c'è l'Etna, Milazzo poi è nota per la famosa vittoria delle truppe romane. Sopra la Sicilia ci sono le isole Eolie. Le Eolie sono anche dette Lipari perché Lipari è l’isola principale. La Sicilia è cara a molti dei e dee, ma soprattutto a Demetra e Proserpina, la bella figlia di Demetra. Su Proserpina i poeti narrano una storia famosa. D. Galli, G. Balbis, M. T. Bruzzone, Lingua et res, p. Tusci mei procul a mari recesserunt, quin etiam Apennino, saluberrimo montium, subiacent. Caelum est hieme frigidius et gelidius; myrtos respuit, laurum nitidissimum profert, interdum, sed non saepius quam sub urbe nostra, necat. Aestatis mirabilissima clementia; semper aer spiritu aliquo movetur, frequentius tamen aurus quam ventos habet. Regionis forma pulcherrima est. Lata et diffusa planities montibus cingitur, montes summa sui parte procera nemora antiqua habent. Frequentior ibi et varior venatio. Inter pingues terreni colles [neque enim facile usquam saxum etiam si quaeritur, occurrit] planissimis campis fertilitate non cedunt opimanque messem serius tantum, sed non minus percoquunt. I miei (possedimenti) toscani sono molto lontani dal mare, sono situati ai piedi dell'Appennino, il più salubre dei monti. Il clima d’inverno è freddo e gelido: respinge i mirti, fa crescere invece l’alloro rigogliosissimo, a volte lo uccide (il clima lo fa seccare), ma non più spesso che nei pressi di Roma. L’estate è di una meravigliosa mitezza, l’aria è sempre mossa dallo spirare di qualche corrente, ma sono più frequenti le brezze che non i venti. L’aspetto della regione è piacevolissimo. Una vasta e aperta pianura è cinta dai monti, i monti sono ricoperti fin sulla cima da antiche e maestose foreste. Qui la caccia è varia e abbondante. Tra le colline ricche di terreno (non è infatti facile trovarvi un sasso nemmeno a cercarlo) non inferiori per fertilità ai campi posti in pianura, portano a maturazione le loro messi abbondanti, forse un po’ più tardive ma non meno bene. Orpheus poeta adversam fortunam habet: lyrae sono feras placat et saxa movet, vitam beate agit cum sponsa Eurydica. Ab Orpheo suaviter musica tractatur et poeta a diis diligitur. At a vipera Eurydica occidutur et tunc vir suaviter canit et lira Proserpinam, inferorum reginam, orat et movet: dea poetae vota exaudit. Eurydica liberatur, sed Orpheus in via non debet eam spectare. Poeta promittit Proserpinae at tamen postea oculos in sponsam vertit: statim puella revocatur a Proserpina et vir eam in perpetuum perdit. Il poeta Orfeo ha una sorte sfavorevole: con il suono della lira placa le fiere e smuove i sassi e conduce vita serena con la sposa Euridice. La musica è soavemente amministrata da Orfeo e il poeta è amato dagli dei. Ma Euridice viene uccisa da una vipera e da allora l'uomo canta soavemente e prega e invoca con la lira Proserpina, regina degli Inferi: la dea esaudisce la richiesta del poeta. Euridice viene liberata, ma Orfeo non deve guardarla nella via. Il poeta promette (ciò) a Proserpina, tuttavia, dopo poco tempo volta lo sguardo verso la sposa: immediatamente la fanciulla viene richiamata da Proserpina e l'uomo la perde per sempre. L. Griffa, So tradurre, pp. 71-72, n. 13 La volpe annuncia al gallo che è stato stipulato un patto di pace fra tutti gli animali, e perciò non è più necessario che faccia da sentinella al pollaio. Però, sentita la proposta del gallo di chiamare il cane a testimone, se la dà a gambe. Interdum superbi et potentes non viribus sed fraude humiles fallere temptant. In sublimi tecto stabuli gallus et gallinae lenem solis teporem captabant. Repente adparuit dolosa vulpes et fallacibus verbis sic dicere incepit: «Laetum nuntium adfero, amici et sodales! Omnes dissensiones inter animalia exstinxit nova concordia nec ulla simultas inter gallinas et vulpes, inter oves et lupos erit! Ambulabunt cum leonibus immanibus timii cervi, cum lupis voracibus requiescent agni, canes cum felibus cubabunt. Descendite ergo de culmine stabuli». Non gallum tamen decepit vulpes fraude sua. Nam de tecto non descendit, sed fallaci vulpi sic respondit: «Laetum nuntium nuntias, amica, et auribus nostris iucundum. Canis, qui in stabulo est, testis erit amicitiae et foederis nostri». Tunc improba vulpes exclamavit: «Valete, amici. Pax nostra canibus adhuc ignota est», et magna celeritate e loco discessit. |
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